Genitori e figli – diritti e doveri

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Dal 2012, con l’entrata in vigore della L. 219/2012, tutte le disposizioni di legge che fanno riferimento ai termini “figli legittimi” o “figli naturali” vengono sostituite dalla parola “figli”.

Al ruolo del minore viene riconosciuta maggior centralità all’interno del processo che lo riguardi, conferendo maggiori possibilità di ascolto del minore.

Viene inoltre implementato il concetto di responsabilità genitoriale.

Anche i figli, tuttavia, devono osservare alcuni obblighi nei confronti della famiglia in generale e dei genitori in particolare. D’altronde, già dal punto di vista sistematico è variata l’architettura codicistica: il Titolo IX del libro I del codice civile è intitolato Potestà dei genitori e diritti e doveri del figlio mentre prima era intitolato semplicemente Della potestà dei genitori.
L’art. 315 bis c.c., recependo finalmente le istanze comunitarie, nei primi tre commi elenca i diritti del figlio. Ma il successivo quarto comma precisa che lo stesso ha il dovere di rispettare i genitori, di contribuire al mantenimento della famiglia in relazione alle proprie capacità, alle proprie sostanze ed al proprie reddito, finché convive con essa.

Si riporta il dispositivo dell’art. 315 bis Codice Civile
Il figlio ha diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni.
Il figlio ha diritto di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti.
Il figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici, e anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano.
Il figlio deve rispettare i genitori e deve contribuire, in relazione alle proprie capacità, alle proprie sostanze e al proprio reddito, al mantenimento della famiglia finché convive con essa.

La tutela dei figli, prevista dall’art. 315 bis, viene estesa dall’art. 337-septies anche oltre la maggiore età e sino al raggiungimento dell’autosufficienza economica. Si riporta il dispositivo:

Il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico. Tale assegno, salvo diversa determinazione del giudice, è versato direttamente all’avente diritto. Ai figli maggiorenni portatori di handicap grave si applicano integralmente le disposizioni previste in favore dei figli minori.
Il 7 febbraio 2014 entra in vigore il dispositivo dell’art. 147 codice civile, modificato con d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154:

Il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l’obbligo di mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli, nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni, secondo quanto previsto dall’articolo 315-bis 

I genitori, quindi, hanno l’obbligo di fornire ai figli quanto necessario in relazione alla propria disponibilità per favorire un equlibrato sviluppo psico-fisico del ragazzo, formare il senso civico, la coscienza sociale, il loro grado culturale (aspetti cognitivi e formativi).
Le violazioni degli obblighi di assistenza familiare sono punite come da ampia formulazione di cui all’art. 570 c.p.: Chiunque, abbandonando il domicilio domestico, o comunque serbando una condotta contraria all’ordine o alla morale delle famiglie, si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla potestà dei genitori, o alla qualità di coniuge, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da lire duecentomila a due milioni.
Le dette pene si applicano congiuntamente a chi:
1) malversa o dilapida i beni del figlio minore o del pupillo o del coniuge;
2) fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore , ovvero inabili al lavoro, agli ascendenti o al coniuge, il quale non sia legalmente separato per sua colpa.
Il delitto è punibile a querela della persona offesa salvo nei casi previsti dal numero 1 e, quando il reato è commesso nei confronti dei minori, dal numero 2 del precedente comma.
Le disposizioni di questo articolo non si applicano se il fatto è preveduto come più grave reato da un’altra disposizione di legge.
Ma vi sono anche disposizioni che tutelano i genitori bisognosi.
Si è già accennato al comma IV dell’art. 315 bis c.c.  che obbliga il figlio a contribuire ai bisogni della famiglia, in base alle proprie capacità, alle proprie sostanze e al proprio reddito, finché convive con essa.
Ai sensi dell’art. 324 c.c., il genitore conserva, sino al compimento della maggiore età da parte del figlio, la titolarità dell’usufrutto legale sui suoi beni. Tale titolarità, quindi, gli spetta fin quando esercita la responsabilità genitoriale su di esso.
L’obbligo di contribuzione del figlio è subordinato alla convivenza con la famiglia di origine. Ma non sempre è così. Infatti, qualora il genitore si trovi in stato di bisogno o privo di pensione o con pensione inadeguata o  non sia in grado di provvedere da sé al soddisfacimento dei bisogni fondamentali della vita, il figlio, compatibilmente e proporzionalmente alla propria situazione economica, è tenuto a garantire la corresponsione degli alimenti. Deve, cioè, fornire quanto necessario per soddisfare le necessità primarie dell’esistenza (ad es. vitto, alloggio, cure, vestiario).

L’art. 570 c.p., comma 2, prevede la reclusione fino a un anno e la multa da euro 103 a euro 1.032 anche per chi faccia mancare i mezzi di sussistenza agli ascendenti.

I figli sono tenuti a prestare gli alimenti se il coniuge del genitore bisognoso non ha la possibilità economica di provvedere al suo sostentamento e se il loro reddito sia sufficiente a soddisfare le esigenze di vita della propria famiglia e del genitore bisognoso, l’alimentando.

In caso contrario, si procede secondo l’ordine stabilito dall’art. 433 c.c.:

All’obbligo di prestare gli alimenti sono tenuti, nell’ordine:
1) il coniuge;
2) i figli [legittimi o legittimati o naturali o adottivi] anche adottivi, e, in loro mancanza, i discendenti prossimi[, anche naturali];
3) i genitori e, in loro mancanza, gli ascendenti prossimo, anche naturali; gli adottanti;
4) i generi e le nuore;
5) il suocero e la suocera;
6) i fratelli e le sorelle germani o unilaterali, con precedenza dei germani sugli unilaterali.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

L’art. 433 del c.c. indica le persone tenute agli alimenti, stabilendone l’ordine relativo. In primo grado è menzionato il coniuge. Al riguardo peraltro è da tenere presente che nello svolgimento normale dei rapporti matrimoniali il marito è tenuto al mantenimento della moglie, e la moglie a contribuire al mantenimento del marito, quando questi non abbia mezzi sufficienti, a norma dell’art. 145 del c.c..
Poiché l’obbligo del mantenimento non è derogato dalla norma che dichiara il coniuge tenuto agli alimenti, è ovvio che quest’ultima non troverà applicazione quando non vi sia separazione ovvero nei riguardi del coniuge, che non ha colpa nella separazione, giacché questi conserva tutti i suoi diritti, secondo quanto dispone l’art. 156 del c.c.
Anzi queste considerazioni inducono a rilevare che l’obbligazione alimentare anche per altre categorie di obbligati, come, ad esempio, i genitori verso i figli, non deroga al più ampio dovere del mantenimento tutte le volte che la legge lo prescrive.

Sentenze relative all’art. 315 bis

Cass. n. 19327/2015

Cass. n. 18538/2013

Sentenze relative all’art. 337 septies

Cass. n. 18869/2014

Cass. n. 27377/2013

Cass. n. 25300/2013

Cass. n. 27377/2013

Cass. n. 18075/2013

Cass. n. 13184/2011

Cass. n. 3908/2009

Cass. n. 28987/2008

Cass. n. 407/2007

Cass. n. 24498/2006

Cass. n. 26259/2005

Cass. n. 11863/2004

Cass. n. 10780/1996

Cass. n. 496/1996

 

Sentenze relative all’art. 433

Cass. n. 1992/1996

Cass. n. 557/1970

Cass. n. 2859/1968

Cass. n. 2066/1966