La discussa “sindrome da alienazione parentale” (PAS)

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Quando una relazione coniugale si conclude in maniera particolarmente conflittuale con il ricorso a vere e proprie battaglie legali, i bambini si ritrovano in processi relazionali negativi, diventando terreno di scontro.

In effetti, succede spesso che il genitore convivente utilizzi tale “arma di ricatto” riferendo al figlio comportamenti negativi dell’ex, magari accentuando gli screzi e, alcune volte, esagerando con lo scopo di garantirsi la sua alleanza che, spesso, basata su dati non del tutto veritieri, alla lunga si rivela sempre più fragile.

Tali comportamenti con i quali si tenta di allontanare il figlio dall’altro genitore, oltre a violare la legge, certamente non fanno il bene del minore che, effettivamente, comincia a manifestare verso l’altro genitore, almeno nelle prime fasi, sentimenti di alienazione.

Una parte di giuristi e psicologi si è affrettata a considerare “patologia” tali sentimenti di alienazione , per cui spesso i figli malcapitati vengono obbligati dai Tribunali a specifici interventi terapeutici nonostante la “sindrome da alienazione parentale (PAS), così viene etichettata, non venga considerata “patologia” dalla “la bibbia” della malattie mentali, ovvero dal manuale DMS -5 .

Tale questione, che coinvolge da anni giuristi ma soprattutto psicologi, è stata oggetto di una interrogazione parlamentare a firma della Senatrice Valeria Valente, al Ministro della Salute Roberto Speranza che ha risposto il 29 maggio 2020 (qui la risposta).

Si riporta un commento pubblicato su you tube, il 20 giugno 2020, da Fondazione Gullotta.

Si riporta anche il commento pubblicato dalla stessa Senatrice Valeria Valente sull’esito della sua interrogazione:

“La cosiddetta Sindrome di Alienazione parentale (Pas) non ‘corrisponde ad una sindrome, né ad un disturbo psichico individuale definito, ma piuttosto a un disturbo della relazione tra più soggetti’ e per questo l’Oms, la comunità scientifica internazionale e le Società scientifiche di psichiatria italiane, ‘oltre a non riconoscere tale disturbo come patologia, non ritengono giustificati interventi terapeutici specifici’. E’ quanto spiega il ministero della Salute nella risposta ad una mia interrogazione, specificando di aver ‘puntualizzato già nel 2012 la non attendibilità della Pas e il rischio dell’uso distorto di tale diagnosi nei casi di bambini contesi’. E’ una parola definitiva: la Pas non è una patologia e non può essere utilizzata nei processi di separazione, specie nei casi di violenza domestica”. Lo dice la senatrice del Pd Valeria Valente, presidente della Commissione di inchiesta sul femminicidio.
“Come sappiamo la Pas è ancora determinante in molti processi per separazione – prosegue Valente – utilizzata soprattutto contro le donne in caso di violenza. Ma non è una patologia, e quindi non può essere usata. Per questo il ministero chiarisce che, qualora siano segnalate diagnosi di Pas da parte di medici o psicologi, informa i relativi Ordini professionali per gli accertamenti sulle violazioni delle norme deontologiche. E che ‘rientra nell’ambito delle competenze del ministero della giustizia intraprendere le adeguate iniziative finalizzate a garantire che, nelle sedi processuali, non vengano riconosciute patologie prive delle necessarie evidenze scientifiche, tanto più pericolose perché aventi ad oggetto decisioni in materia di minori’. Sarà mia cura inviare questa risposta al ministero della Giustizia, chiedendo di predisporre gli strumenti necessari al rispetto di queste indicazioni”.

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